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Nativi digitali

Con la diffusione di I-phone e cellullari dell’ultima generazione, genitori ed adulti sono ovunque e sempre potenzialmente collegati alla rete, dunque sconnessi o connessi solo a intermittenza con i bambini che hanno vicino

. Ben prima del diluvio tecnologico, dilagato in ogni casa e ogni tempo, bambine e bambini si sono trovati a fare i conti con adulti distratti. Bambini anche molto piccoli trovano facilmente anche loro attrazioni altrettanto potenti.

Le industrie, per vendere, escogitano marchingegni sempre più attraenti, maneggevoli e sofisticati, rivolti a bambini sempre più piccoli. Ai genitori, spesso immersi anche loro nel grande gioco virtuale onnipresente, molte volte fa comodo che un figlio abbia a disposizione un gioco elettronico o un cellulare, perché diventa muto e trasparente e può restare interi pomeriggi tranquillo, perché completamente immerso in uno schermo interattivo.

Il risultato è che i bambini sono sottomessi, fin dalla più tenera età, ad un bombardamento tecnologico senza precedenti e si moltiplicano le ore che, anche da molto piccoli, passano davanti a schermi di ogni misura.

Chi prova ad opporsi sa quali battaglie quotidiane deve combattere in casa per limitare l’uso compulsivo di play station e videogiochi sempre più accattivanti. L’attaccamento a schermi grandi e piccoli ha tutte le caratteristiche di una droga, perché ormai nessuno può più nutrire dubbi sulla dipendenza che crea.

La scuola, in questo contesto, deve affrontare con intelligenza e sensibilità la questione, rifiutando di appiattirsi sul presente e seguire l’onda. L’illusione che, di fronte a bambini sempre meno capaci di attenzione prolungata, li si possa conquistare lusingandoli “con gli strumenti che a loro piacciono” è controproducente. Le fasi di uno sviluppo normale prevedono durante la seconda infanzia che è un periodo che va dai 3 ai 6 anni, le conquiste del concetto di sé e la consapevolezza sociale.

È fondamentale in questo periodo il gioco visto come il lavoro del bambino in età prescolare: attraverso di esso il bambino sviluppa le sue abilità fisiche ed espande la sua comprensione cognitiva del mondo che lo circonda. Il gioco è importante anche per lo sviluppo psicologico del bambino, per le opportunità che gli assicura di diventare più competente in ruoli e abilità sociali.

A mano a mano che il bambino cresce, l’attività ludica diventa più complessa e perciò più sociale, entrano a farne parte non più solo il gioco senso motorio e di esercizio, ma anche il gioco turbolento e il gioco di finzione e i giochi con regole.

Nel gioco sociale i bambini acquisiscono le capacità necessarie a intraprendere e mantenere un’interazione amichevole con i coetanei, imparare a giocare con gli amici insegna la reciprocità, la sollecitudine e la cooperazione molto più rapidamente ed efficacemente di quanto faccia l’interazione con gli adulti; inoltre i temi delle attività ludiche consentono ai bambini di esplorare e mettere in atto i ruoli sociali che essi osservano attorno a sé.

Il gioco ha storicamente assunto una funzione importante con il pensiero di Rousseau(1712-1852) e con le idee pedagogiche di Wilhelm Friedrich Frobel (1782-1852), prima era considerato un passatempo e un’attività infeconda per i bambini. Alcuni giocattoli (bambole, orsacchiotti, oggetti morbidi e caldi), secondo la maggior parte degli studiosi, sono insostituibili: essi rappresentano, per i bambini e le bambine, simbolicamente la figura del genitore e, nei momenti di frustrazione, gli amici con cui dialogare. Il giocattolo è il più potente campo d’esperienza immaginativa che abbia a disposizione il bambino per sollecitare la mente.

I bambini sanno che le cose possono essere differenti. Un bambino può usare una trombetta di plastica rossa come un cellulare: con una punta accostata all’orecchio e l’altra alla bocca conversare con un amico immaginario. Imparando che per principio di realtà quella cosa è uno strumento per suonare ma anche un telefonino, per lui l’oggetto, non era opaco, la sua immaginazione vede. Infatti l’immaginazione vede le cose “altre”, perché tutto il reale è invenzione.

Poi bisogna stare accanto al bambino se questo chiede come si fa a costruire una qualsiasi cosa e ancora di più un giocattolo. Mica semplice, non si risolve con uno schermo. Come si fa a dare indicazioni per fare una cosa concreta se non è permesso divagare fantasticando, secondo un principio di istruzione efficace.

Fare giocattoli, riconnette il fatto tecnico con l’immaginazione. Sappiamo che le mani sono i più efficaci strumenti per dare forma alla realtà e ancora di più per formare il senso comune che ci aiuta a risolvere i piccoli e grandi problemi della vita di tutti i giorni. Sappiamo che è necessario addestrare le mani, imparare piano piano, capire che pazientando si arriva a usarle in modo appropriato.

Costruendo giocattoli questo avviene naturalmente per tentativi ed errori, con la crescita delle competenze e nella piacevolezza di una attività che configura il piacere del gioco. I bambini e le bambine dovrebbero usare le mani e avere a disposizione strumenti e tecnologie semplici fin dai primi anni di vita. Il gioco, quindi, è per l’infanzia non solo rappresentazione della continuità tra il passato ed il presente, ma anche fattore di liberazione; il bambino, infatti, entra in contatto, attraverso l’attività ludica, con il mondo circostante e compie esperienze concrete.

Esso è una sorgente di motivazione e, perciò, sarebbe inimmaginabile, come ha sostenuto lo psicologo e pedagogista svizzero Edouard Claparède (1873-1940) “un’infanzia senza giochi”. Un bambino che non sa giocare è in “fieri” un adulto incapace non solo di pensare e di ragionare, ma anche di agire responsabilmente .

L’ingresso della scuola è il grande cambiamento che segna l’inizio della terza infanzia. La scuola è la società del bambino il luogo dove acquista uno specifico ruolo sociale e dove gli vengono fatte delle richieste e dati compiti specifici.

La terza infanzia si caratterizza rispetto alla prima e alla seconda, per un magico equilibrio emotivo, descritta da Freud come la fase della “latenza.” Si rafforzano le difese dell’Io e l’identità, grazie all’identificazione con i genitori visti come modelli positivi. Il gioco diventa organizzato, il bambino interagisce con naturalezza nel gruppo dei coetanei. Si forma un codice morale più preciso e meno rigido di quello dell’età prescolare. Il pensiero acquista capacità logiche, anche se ancora basate su dati concreti. Il bambino può formulare concetti.

Anche il linguaggio si arricchisce favorendo la comunicazione sociale.