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Opporsi per crescere, Provocare per comunicare

La bambina dei “no”

Nella prima infanzia, in particolare tra i 2 e i 3 anni di vita, il bambino vive una fase definita “l’età dei NO” che, pur essendo caratterizzata da crisi di opposizione del bambino, a volte anche molto violente, ha in realtà una valenza evolutiva in cui si fanno strada le prime forme di pensiero individuale.

Il bambino si oppone al genitore per sentirsi autonomo: vuole fare da solo, non accetta aiuti, né direttive e il ruolo del genitore diventa fondamentale per consentire tale crescita.
La fase oppositiva è solo una tappa del processo evolutivo, ma come tale deve essere superata supportando i bambini nell’interiorizzare una condotta comportamentale diversa attraverso l’uso di limiti e regole, intesi come confini da non oltrepassare.
Il compito del genitore non è affatto facile: le manifestazioni oppositive dei bambini generano nell’adulto rabbia e frustrazione che vanno controllate per non correre il rischio di agire fisicamente sul bambino la propria impotenza.
Molto spesso alle crisi oppositive si aggiungono comportamenti provocatori che diventano la modalità elettiva per entrare in relazione con il mondo.
Un bambino che provoca, è in continua sfida con l’altro, ma il suo atteggiamento non nasce dal nulla. Dietro a tali manifestazioni c’è un messaggio di sofferenza che non può essere espresso diversamente e che non sempre è facile da comprendere.
L’adulto fatica ad attribuire un significato al comportamento infantile, il bambino sente di non essere capito e il circolo vizioso che ne scaturisce, incastra entrambi in una relazione conflittuale.
Un esempio è il caso clinico di M. e dei suoi genitori.
M. è una bambina primogenita di 3 anni. Giunge a consultazione accompagnata dai genitori che appaiono da subito molto affaticati nella gestione educativa dei figli e in particolar modo in quella di M.
I genitori raccontano di quanto la bambina sia aggressiva nei loro confronti e non accetti mai le loro indicazioni quando è necessario fare qualcosa: dal lavarsi e vestirsi al mangiare o al vivere situazioni sociali come le feste tra coetanei.
La bambina si oppone a tutto, vuole decidere autonomamente come e cosa fare e tende a distruggere tutto ciò che crea: strappa i suoi disegni, rompe le costruzioni, butta tutto a terra.
Le reazioni dei suoi genitori non sono sempre calme. Anzi, soprattutto la madre fatica a controllare la sua ira e si manifesta in un modo altrettanto aggressivo verso la bambina.
Il padre s’inserisce nella diade madre-bambina ma, quasi senza rendersene conto, tende a difendere la figlia squalificando il ruolo materno.
Questa modalità non aiuta nessuno: il disaccordo genitoriale aumenta così come aumenta la confusione in cui i limiti non sono chiari.
La bambina assume sempre più il potere e il vissuto genitoriale è di totale impotenza.
Nella stanza di terapia, il primo passo da fare è comprendere se il comportamento oppositivo-provocatorio della bambina è di tipo transitorio o se è un atteggiamento relazionale costante, modificando anche le convinzioni genitoriali.
In entrambi i casi, comunque, i genitori devono poter comprendere che dietro tali modalità c’è una difficoltà emotiva della figlia.
E’ necessario accettare che esiste una sofferenza che la bambina non sa comunicare in altro modo se non attraverso comportamenti che mirano, in modo anomalo, ad attirare l’attenzione degli altri, per la paura fantasticata di essere abbandonata.
La terapeuta lavora sulla relazione genitori-bambina affinché gli adulti possano dare il giusto significato ai comportamenti e la bambina possa capire quanto in realtà le sue modalità relazionali, generino una reazione contraria a quello che lei si aspetta: l’essere provocatoria fa allontanare gli altri e il suo timore di essere rifiutata viene paradossalmente confermato.
Inoltre, strappare o distruggere i suoi lavori non è un attacco al genitore che si avvicina per giocare con lei, ma è l’espressione del suo vissuto di inadeguatezza. La bambina sente di non essere capace nel fare un disegno che lei non vede mai bello e farlo in tanti pezzi o accartocciarlo diventa l’unico modo per comunicare la sua rabbia.
I genitori che decodificano questi messaggi e cominciano a guardarla con occhi un po’ diversi, modificando poco alla volta anche il loro comportamento, rendono possibile un cambiamento anche nel vissuto emotivo della figlia che non avrà più bisogno di ricorrere a comportamenti reattivi negativi.
I genitori di M., mediante un lavoro terapeutico anche difficile, riescono a non rinforzare i meccanismi difensivi della bambina che, a sua volta, riesce a percepire una vicinanza affettiva diversa.
La difficoltà che i genitori portavano all’inizio, determinata da un momento transitorio di criticità evolutiva, viene superata. I genitori acquisiscono quella fermezza utile a dare un contenimento emotivo adeguato e il processo di indipendenza e autonomia di M. può andare avanti!